DUMA KEY

DUMA KEY

Una sera, a Caracas, Diletta mi chiese: “Quali sono i libri che hai amato di più?”. “Quelli che ho recensito sul sito” ho risposto. Non era vero. L’ho scoperto solo alcuni anni dopo, leggendo un racconto di Joe Simpson, di cui riporto qui di seguito un lungo estratto.

“La paura incontrollata è un’emozione corrosiva, un tarlo che rode il tessuto della mente, induce un doloroso stato di ansia e non porta nulla di buono. Perderò o vincerò? Dove troverò i soldi per il mutuo? I bambini sono al sicuro? Gli altri mi stimano? Sono un fallito?”

“Non c’è nulla di sano in questo tipo di paura. E’ una malattia della mente che non produce risposta utile e ci lascia in un limbo di penosa incertezza. Nelle paure archetipe c’è se non altro l’impulso a combattere e fuggire dell’adrenalina e il senso di conquista e di sicurezza che viene dall’affrontare la bestia […]”

“Quando scende dalla montagna e rimette piede nella vita cerca, senza riuscirci, di comprendere l’esperienza che ha vissuto. Di quelle giornate conserva un ricordo potente e bellissimo ma non sa dire esattamente cosa è successo. Sa che qualcosa è effettivamente accaduto, ma non riesce a metterci il dito sopra”.

Leggendo questo racconto, ho capito di essere riuscito a scrivere dei tanti libri belli letti, ma di quelli davvero amati no, di quelli non ero riuscito a metterci il dito sopra. Quando la lettura di un libro è un’esperienza indicibile, beh… non riesco a dirla. Non riuscirò neanche adesso, però voglio dire qualche titolo.

Senza compromessi

La vita e gli scritti di Reinhard Karl, alpinista tedesco, si leggono godibilmente. Karl si rifà a Sir Hillary e Hermann Buhl, cioè all’Alpinismo con la A maiuscola, romantico, idealista, epico, pulito, all’Alpinismo delle grandi imprese, vivere per raccontarla.

“Avevo deciso di fare il meccanico. Perché? La tecnica, guidare lontano, fare qualcosa con le mie mani, queste erano le ragioni che mi spinsero a scegliere il più sporco e miserabile fra i diversi mestieri che un quattordicenne possa sognare”. La montagna come furto, furto di giorni, ore, al sonno, al riposo della domenica, alle sicurezze di una vita tradizionale. “L’alpinismo divenne per me qualcosa di simile ad un altro mondo, significava scoprire che esisteva qualcos’altro oltre al lavoro, il cottimo e le automobili” (p. 218).
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Il Monte Analogo

“Sotto le parvenze di un romanzo d’avventure, o di un racconto fantastico, Il Monte Analogo ci offre una ” metafisica dell’alpinismo ” che è, anche, un itinerario minuzioso, lentamente maturato nelle esperienze dell’autore, verso un centro, sentito come liberazione della persona da ogni suo limite, verso una vetta in cui, al disopra di ogni specifica contraddizione, ciascun uomo attui le proprie umane possibilità”.
La montagna non è né simbolo né metafora, ma pietra e silenzio, luce e vento, fatica e  ricompensa. Concretezza opposta ad astrazione. Eppure la quarta di copertina sopra riportata rappresenta bene le numerose interpretazioni cui questo libro ha dato luogo, fino a divenire un vero cult (oltre che nome di siti Internet, birrerie, librerie, negozi di alpinismo).
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Il settimo grado

In una recente splendida, lunga, profonda intervista (National Geographic Italia, novembre 2006, vol. 18, n. 5) Messner ha rivelato di vedere la sua vita composta di una succesione di fasi distinte: quella alpina e dolomitica, quella himalayana, quella orizzontale (traversata di Polo Nord, Polo  Sud, e diversi deserti), quella della ricerca dello Yeti (oggetto di polemiche), e quelle più recenti dell’agricoltura e dei musei di montagna.
Il 7° grado racconta della fase uno.
Un libro introvabile, di cui ho fortunosamente reperito sia l’edizione originale Görlich (1972 in tedesco, 1974 in italiano) che quella dell’Istituto Geografico De Agostini di parecchi anni dopo (1982 in italiano).
La copertina dell’edizione originale: Messner fine anni “60 che arrampica con pantaloni di velluto, pedule, imbraco pettorale, un maglione di lana. Una foto che affascina, di per sé, e perché ritrae il più grande alpinista di tutti i tempi, un talento immenso, una volontà e progettualità altrettanto immense, sviluppate compiutamente, esizialmente direi. È nota l’esortazione dell’Oracolo di Delfi, conosci te stesso, meno quella di Pindaro, divieni te stesso. La propongo idealmente ad esergo del libro.

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Caos calmo

L’idea è geniale. E suscita subito molte curiosità: come farà con il lavoro? non si annoierà? eccetera. Purtroppo l’autore si sottrae alla sfida che si è spontaneamente lanciato, rifuggendo in un fiorire artificiale di episodi, storie e storielle poco credibili e comunque poco interessanti. Alla fine, non succede mai niente. E, ahimé, ciò accade per quattrocento interminabili pagine.
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In vetta senza scorciatoie

In vetta senza scorciatoie, è il titolo del libro che segnalo pur non avendolo letto. L’ha scritto l’alpinista americano Ed Viesturs con l’aiuto del giornalista specializzato David Roberts. Traggo questa informazione da un articolo apparso il 15.07.2007 sul “Domenicale”, il supplemento culturale che accompagna il Sole 24 Ore ogni domenica. Viesturs appartiene alla ristretta èlite degli alpinisti che hanno scalato tutti i 14 Ottomila, per altro senza bombole d’ossigeno.
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Legato ma libero

Quarantenne, con l’entusiasmo di un bambino, nel 2000 Patrick Berhault, fuoriclasse dell’arrampicata sportiva e dell’alpinismo, progetta e realizza la traversata delle Alpi: da Mojstrana (Slovenia) a Mentone (Francia), superando 140 km di dislivello in salita, di cui 22 di scalata in parete. Le imprese verticali sono quelle per le quali è noto, ma l’estensione dei tratti orizzontali è di gran lunga maggiore, e rende  il libro potenzialmente interessante tanto per un arrampicatore che per un escursionista.

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Variazioni selvagge

Claude Sidi studia sodo, si laurea e specializza come biologo marino, viene assegnato ad un ambito progetto in una riserva naturale dell’Oregon. Nei suoi giorni c’è l’odore del mare ed i versi degli elefanti marini, l’aria ed il silenzio della foresta. Va in depressione. Molla tutto, torna in città, trova lavoro in uno studio dentistico. La continua interazione con i piazienti lo fa rinascere, è felice. Al diavolo la biologia, dichiara, I like people, ho bisogno di un lavoro che mi faccia stare a contatto con le persone.

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Confessioni di un serial climber

“Vaffanculo!”.
Il simpatico saluto di Mark Twight dalla quarta di copertina è un manifesto di egotismo che mi aveva a più riprese tenuto lontano dal libro. Poi una sera alla Rock & Walls, mentre sfuggivo all’allenamento sul Pan Gullich curiosando tra i volumi della piccola biblioteca, Pietro tira fuori “Confessioni di un serial climber” e mi fa: “Eccezionale, leggilo”.

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La strada

Avrei scommesso sulla monotonia di questo libro e sulla sua tristezza, andando a patta.
Erri De Luca ha scritto In nome della madre (Feltrinelli, 2006) per raccontare la storia della madre – e del padre, soprattutto del padre – di Ieshu, nato a Bet Lèhem, pasta cresciuta in Miriàm senza lievito d’uomo. “Il bue ha muggito piano, l’asina ha sbatacchiato forte le orecchie. È stato un applauso di bestie il primo benvenuto al mondo di Ieshu, figlio mio”.
Nella prima notte insieme, Miriàm pensa al mondo che di fuori li aspetta, lontano dal calore animale che avvolge e protegge, ed immagina: “Che felicità sarebbe, nessun obbligo all’infuori di vivere. Finché dura la notte è così”.
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