Un’Italia più laica: è una missione possibile?

Dev’essere colpa del nostro passato, se quando dici che vuoi scrivere dell’identità laica italiana, capita di sentirti chiedere: ma lei è sicuro che non sia un ossimoro, una contraddizione in termini? È lo specchio di un’identità nazionale, pauroso deficit di autorappresentazione di un popolo che esibisce cuore, viscere, malattie, amori, tradimenti, evasioni fiscali e finanza creativa, tutto tranne la propria faccia, il suo volto di nazione, figuriamoci la propria laicità. La laicità in Italia è debole perché è debole il Paese. Un’analisi lunga e interessante, dalla strage a Charlie Hebdo al magistero di papa Francesco.

Un’Italia più laica: è una missione possibile?

di Roberto Di Caro
27 gennaio 2015
(articolo pubblicato su L’Espresso)

Laicité. In Francia è struttura portante del vivere civile, tessuto connettivo di un’identità nazionale, vanto e fierezza della propria storia, liberté égalité fraternité, persino stabilita per legge nel 1905. Non funziona sempre e ovunque. Ha falle anche gravi. Le settanta scuole che hanno rifiutato di osservare il minuto di silenzio per la strage a Charlie Hebdo. Il disastro delle banlieues dove, nelle seconde e terze generazioni di immigrati, francesi che tali non si sentono riempiono il vuoto d’identità, il non sapere chi sono, con un Islam letterale e fanatico, quello del web, dei predicatori itineranti, dei tagliagole dell’Is.

Non è perfetta, la laicité d’oltralpe. Ma c’è. Ha tratti ben definiti. Per gli individui, non solo per lo Stato, è un modo di essere e di rapportarsi agli altri. È, rivendicava Bernard Guetta sullo scorso numero dell’“Espresso”, quel corpo di valori attorno ai quali, dopo il massacro di Parigi, «la Francia si è raccolta e ha potuto risollevarsi, con la sua dignità, la sua grandezza, senza odio».

Per contrastare i semi dell’odio che invadono un’Europa debole con i razzisti e impotente con i dittatori è necessario coltivare il laicismo. Unica arma contro i talebani di ogni credo
E da noi? Di che cosa parliamo in Italia quando diciamo laicità? Cosa ci manca, cos’è andato storto e perché? Soprattutto, come ne riprendi le fila, le dai corpo, ne fai elemento strutturante del vivere civile? Domande che se ne tirano dietro un gomitolo d’altre, dalla politica alla teologia: ma dalle risposte che verranno da cultura e istituzioni, dopo l’irruzione dell’Islam in tutte le sue declinazioni dalle più nobili alle più abbiette, dipende il futuro di una società italiana ormai multirazziale e multiculturale.

Intanto sgombriamo il campo, dando per acquisite constatazioni ben note. In Francia hanno fatto una rivoluzione, noi no. Qui stanno il Papa e il Vaticano. Laico lo Stato italiano lo fu solo per obbligo e per anatema papale, nei sessant’anni fra Porta Pia e i Patti Lateranensi, e anche allora nello Statuto Albertino il cattolicesimo era religione del Regno. La laicità, in Italia, è stata sempre patrimonio di élite e minoranze: per stare al dopoguerra, il Partito d’Azione, “Il Mondo” di Pannunzio e poi “L’Espresso”, le battaglie sui diritti civili anni Settanta, il Partito Radicale, fino alla versione estrema di “Micromega”, “Ateo è bello! Almanacco di libero pensiero”. Nella Prima Repubblica si parlava di “partiti laici minori”, Pli, Pri, Psdi, talora lo stesso Psi: sottotesto, sono minori perché laici e laici perché minori, fermo restando che la Storia la fanno le due grandi confessioni, la cattolica e la comunista.

Dev’essere colpa del nostro passato, se quando dici che vuoi scrivere dell’identità laica italiana, capita di sentirti chiedere: ma lei è sicuro che non sia un ossimoro, una contraddizione in termini? È lo specchio di un’identità nazionale insieme antica di ottocento anni ma labile, persistente ma sommessa, evidente eppure misconosciuta, buona a malapena per i Mondiali di calcio, pauroso deficit di autorappresentazione di un popolo che esibisce cuore, viscere, malattie, amori, tradimenti, evasioni fiscali e finanza creativa, tutto tranne la propria faccia, il suo volto di nazione, figuriamoci la propria laicità, in genere più praticata che rivendicata, più di convenienza che di convinzione.

Il Rapporto 2014 sulla libertà di pensiero nel mondo ci boccia. L’assenza di una legge sulla libertà religiosa e di pensiero «fa sì che in Italia si sia concretizzato un sistema con al vertice la Chiesa cattolica che regola i rapporti tra Stato e confessioni religiose».

«La laicità in Italia è debole perché è debole il Paese. Vizio antico», ricostruisce Giulio Giorello, filosofo della scienza, tra i suoi libri “Di nessuna Chiesa. La libertà del laico” e “Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo”. Vizio antico ma attualissimo. Giordano Bruno, più mago che scienziato, viene messo al rogo allo scoccare del 1600 «perché s’è posto il problema di cosa significa vivere, lottare, sperare, soffrire e morire in un universo senza più confini in cui ogni stella è un sole, ciascun punto può esser preso come centro ed entrare in conflitto con ogni altro punto: principio di relatività ontologica, poi connaturato alla modernità, di un mondo senza gerarchie naturali». Il relativismo! La bestia nera delle religioni monoteiste e proselitiste. Per Ratzinger dell’omelia 2005 Pro eligendo romano pontifice, un «lasciarsi portare qua e là da ogni vento di dottrina, una dittatura che non riconosce nulla di definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Per Giorello, «niente di così banale. Al contrario, la convinzione che ogni idea, anche la più eccentrica, abbia diritto ai suoi difensori pubblici. Thomas Jefferson e John Stuart Mill, ma anche il nostro Leopardi, il cui relativismo non fa svanire gli assoluti ma li moltiplica “in modo che essi ponno essere e diversi e contrari tra loro”. E Cattaneo, Labriola, Gobetti, Luigi Einaudi, Bobbio», insomma una ricca, alta tradizione italiana. Le basi non ci mancano, resta da capire come procedere. E come difendersi. Ci arriveremo.

Ratzinger però era ieri, ora c’è Bergoglio. Il Francesco che a Eugenio Scalfari risponde, fra i crampi dei tradizionalisti, «non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, la verità è una relazione, ciascuno la coglie e la esprime a partire da sé». Scenario ribaltato, guerra finita, rilassiamoci, stiamo tutti dalla stessa parte, anche la laicità, magari con qualche limatura, nelle buone mani del papa dalla fine del mondo? Charlie Hebdo, una chiacchiera con i giornalisti sull’aereo, «se però offendono mia madre, io un pugno glielo tiro», e le cose con questo “papa che piace a troppi” (copyright Giuliano Ferrara) non filano più così lisce come ci si era illusi. «La piazza araba militante, gli imam che riluttano a una rigorosa condanna della decimazione di redazioni di giornali e negozi ebraici, da ieri si sentono meglio protetti dalla convergenza con il Papa di Roma. Non ha perso la brocca, il Papa. C’è dell’altro. C’è la convinzione, comune a molta cultura irenista occidentale, che si debba convivere con l’orrore, quel che conta è non perdere il contatto con l’universo islamico. Non è una gaffe. È di più e peggio». Così Ferrara sul “Foglio”.

Più laico lui, “l’ateo devoto”, di uno stuolo di sedicenti laici che, anche con le migliori intenzioni, salvaguardare la pace, tutelare la convivenza, appena si parla di religione è come se autocensurassero la funzione dirimente dell’intelletto. «Quei terroristi non sono islamici, la religione non c’entra» è, giusto per fare un nome, il refrain della presidente della Camera Laura Boldrini. Ma è affermazione falsa e, alla fine, ipocrita. Pappa politically correct. Rifiuto di guardare in faccia l’orrore. Paura di chiamare per nome il nemico, cioè un Islam radicale in guerra mondiale contro un Islam laico che pure c’è e quello pacifico «parte integrante della nostra civiltà europea» (Merkel ha ragione); alla conquista della sterminata zona grigia fra i due; contro i cristiani, gli ebrei. Ma soprattutto (e questo è Eugenio Scalfari), «se guardiamo con attenzione quanto sta accadendo, il fondamentalismo religioso ha come primo obiettivo quello di abbattere lo Stato laico, cioè il presidio della libertà».

Non è l’unica ambiguità da sciogliere. «Mentre va di moda il dialogo interreligioso, vorrei invece avviare il dialogo interlaico»: così, contro il luogo comune, Emma Bonino. Che fine fa la laicità occidentale se per salvare una pace che non c’è più si mette nelle mani di un compromesso fra i due grandi monoteismi? «L’alleanza delle religioni in difesa del sacro mi sembra un incubo», chiosa Giorello, «ma contro quest’incubo si può lavorare. Fu il cardinal Martini, non certo un anticristo, ad ammonire sulla necessità di prendere le distanze dall’ossessiva riaffermazione della propria identità religiosa».

Ma quale laicità ci difenderà? Perché è un esercizio difficile, controverso, una sfida quotidiana, quella del laico. Un percorso a ostacoli, difendere la libertà anche di chi vuole affossarla, non te la cavi citando Voltaire, in una democrazia che «non può, per difendersi, perdere se stessa» (Stefano Rodotà). È reato l’apologia di reato? Dove finisce l’apologia e comincia l’istigazione e la complicità? La libertà d’espressione e di satira anche feroce è una e indivisibile (Salman Rushdie) o deve trovare limiti nell’esigenza di convivenza con altre culture e fedi? Eccetera.

Dunque, quale laicità? «Un pensiero critico permanente rivolto in primis verso se stessi: se la limitiamo alla semplice separazione fra Stato e Chiesa non so più cos’è», risponde Emilio Gentile, storico dell’Italia del Novecento ma anche di quella “religione civile” americana che con Bush jr. degenera in “religione politica”, teologia bigotta per un paese che dai sondaggi eleggerebbe un presidente donna o anche gay ma mai uno ateo o scettico. Per Gentile, «quando si comincia a intaccare il principio di laicità è difficile, forse impossibile, non scivolare nell’integralismo violento. Ma non sempre la laicizzazione di cultura, costumi e mentalità corrisponde alla laicità istituzionale: le società più secolarizzate al mondo sono le monarchie nordiche, che hanno tutte (o avevano fino a poco tempo fa) una religione di Stato». La situazione italiana è opposta e speculare. L’Assemblea Costituente, dopo lungo dibattito, non inserì alcun riferimento, neanche simbolico, a Dio: «Ma al crollo del fascismo la Chiesa emerse come unica entità e potere stabile, poi l’articolo 7 sancì che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dai Patti Lateranensi, e per oltre 40 anni siamo stati governati da una Dc che non era più il partito aconfessionale di Sturzo ma dichiaratamente dipendeva dagli orientamenti della Chiesa». Mentre il paese, più o meno surrettiziamente, si laicizzava, anche da questa ambiguità, dalla doppiezza (italiana, cattolica, togliattiana, begli incroci da indagare), viene l’attuale nostra incerta laicità.

Ma quando giri la questione a Gian Enrico Rusconi, storico e politologo, tra i suoi libri “Come se Dio non ci fosse” e “Cosa resta dell’Occidente”, un “laico del ma” contro Rushdie e i milioni di “Je suis Charlie”, ti ribalta la frittata. La nostra laicità non genera identità? «Chiediamoci piuttosto che tipo di religione hanno gli italiani. Il perché della sistematica ipocrisia del loro cattolicesimo nei comportamenti sensibili e nella trasgressione sessuale. Come mai al massimo di retorica sulla famiglia corrisponde il tasso di natalità più basso al mondo». Labile la nostra laicità? «Ma l’idea francese di laicité, che per qualche giorno è parsa zittire tutte le altre, non è l’unica elaborata dall’Occidente! Non è forse laica la Germania, dove la presenza di una pluralità di confessioni cristiane riformate ha assorbito istanze confluite nel nostro paese nel laicismo?» Impacciata, questo sì, la laicità italiana: «Talora è come se fosse vuota di contenuti. Invece di disinteressarsi della religione perché “è roba da preti”, i laici devono diventare competenti in teologia, applicare la critica storica alle costruzioni religiose». Per lui un compito del genere, meglio dei francesi, lo può svolgere proprio una laicità all’italiana: «Attorno alla quale ruotano oggi tutte le questioni riguardanti la sfera dell’individuo, dalle coppie di fatto all’omosessualità alla bioetica. Statuto della cittadinanza, la chiamo. Forse è solo una speranza, la mia, ma sono convinto che la nostra laicità possa diventare la componente vitale capace di coagulare, in modi inattesi, valori e conoscenze un tempo legati a vecchie concezioni dell’uomo e del mondo».

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