Spingendo la notte più in là

Mario Calabresi racconta l’intreccio di tre corde.
La prima è il suo paese, l’Italia, con la propria storia, dominata negli anni ’70 dalla violenza.
La seconda è la famiglia Calabresi, vicenda personale e vicenda collettiva, quella delle vittime del terrorismo.
La terza è un bambino orfano a due anni di padre, ammazzato sotto casa a colpi di pistola.

La prima corda. 12 dicembre 1969: una bomba esplode alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, Milano. Muoiono 16 persone, oltre 80 i feriti. Una strage senza fine, negli anni, nel tempo, nelle coscienze. Il simbolo di quella che è stata chiamata strategia della tensione, e di cui quarant’anni dopo sappiamo molto, ma ancora poco. La polizia indaga, compie numerosi fermi, tra cui quello di Giuseppe Pinelli, ferroviere, anarchico. Dopo tre giorni di fermo Pinelli muore precipitando dalla finestra della questura. La polizia parla inizialmente di suicidio. La sentenza del giudice D’Ambrosio di alcuni anni dopo conclude per l’incidente: un malore l’avrebbe colto mentre era appoggiato al davanzale, procurandone l’accidentale caduta. Lotta Continua fin da subito propende senza incertezze per la colpevolezza del commissario Luigi Calabresi, tra i funzionari che si alternarono durante l’interrogatorio: è sua la responsabilità dell’accaduto, affermano. Inizia una martellante campagna di odio, ed il 17 maggio 1972 Calabresi viene assassinato. Sedici anni dopo, ancora ignoti gli assassini, Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, in circostanze soprendenti rende alcune dichiarazioni spontanee ai Carabinieri: si autoaccusa di essere stato l’autista che in quel lontano 17 maggio 1972 partecipò all’assassinio di Calabresi. Accusa altresì Ovidio Bompressi di essere stato l’esecutore, ed Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani di essere stati i mandanti. Dalle sue dichiarazioni prende le mosse il processo forse più famoso d’Italia, costellatto di stranezze ed errori, e sul quale Carlo Ginzburg ha scritto un libro tanto ostico quanto importante, Il giudice e lo storico.

La seconda corda. Una donna, Gemma Capra, incinta del terzo figlio, diviene vedova, per l’assassinio del marito. Nella disperazione dell’improvvisa tempesta di dolore trova la forza di una scelta: il timone fisso a dritta, lungo una rotta precisa; crescere i figli fuori dall’odio e dentro la memoria.
E, madre straordinaria, vi riesce.
Lo si capisce dalla scrittura del figlio, prima ancora che da quello che dice.

Ma il libro è anche il racconto delle singole vite di tutti quelli che hanno visto un proprio caro riverso sull’asfalto, crivellato dentro un’automobile, saltato per aria. Ci sono alcune pagine strazianti: partono dalla celebre foto del ragazzo con pantaloni a zampa di elefante, passamontagna, gambe divaricate, pistola tra le mani, braccia tese. Un’icona del ’77, l’abbiamo vista tutti decine di volte. Senza sapere che nel momento esatto in cui quella foto viene scattata, pochi metri più in là un secondo ragazzo, identico al primo, la pistola non la punta solo, la usa. Spara dei colpi. Muore un carabiniere di vent’anni. Mario Calabresi incontra la figlia, nata alcuni mesi dopo quel giorno. Quanto dolore. C’è un film che aiuta a capire: La seconda volta, di Mimmo Calopresti, del 1995, con una bellissima Valeria Bruni Tedeschi.

La terza corda. Cosa vuol dire restare orfani per mano di un altro uomo? Cosa significherebbe per mia figlia se “papo” venisse ucciso? Una corda con la quale ho finito per intrecciarmi anch’io, restandovi impigliato con un groppo in gola. Pagina dopo pagina Mario Calabresi è riuscito a scioglierlo, spingendo la notte più in là.
(aprile 2008)
Recensione di:
Calabresi, M., Spingendo la notte più in là. Mondadori, nell’edizione 2008 con il DVD dello spettacolo di Luca Zingaretti.
(acquistato per 18 euro; tempo di lettura, 4 ore/treno)
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